Visto sabato 16 febbraio 2013, Teatro della Cooperativa
Tre fratelli una generazione, tre frustrazioni una nazione – l’Austria post Anschluss e pre Haider -, molteplici ossessioni e le responsabilità e i doveri della classe borghese figlia diretta della nobiltà austriaca, un unico grande orlo della follia. Voss/Ludwig è un filosofo, anzi, peto veniam, un anti artista, scrive trattati di logica e, soprattutto, si è volontariamente rinchiuso nel manicomio di Steinhof; Dene, la sorella maggiore, clone della madre, vive delle azioni di Ludwig, al suo servizio, e con l’unico scopo di riportarlo – e ci riesce – a casa; Ritter, sorella minore, apparentemente la più lucida, fuma e beve in continuazione, unici viatici per sopportare la reclusione nella grande casa di famiglia, contraria al ritorno del fratello. Entrambe attrici di prosa presso lo Stalktheatre di Vienna … di cui la famiglia detiene il 51% delle azioni …
Tre personaggi, dissacranti e tragicomici, tre vite che raccontano delle perverse dinamiche familiari e interiori che spesso albergano, in ogni nazione vien da dire, proprio laddove il ceto è alto, la ricchezza abbondante, la noia e l’ipocrisia dilaganti.
Nella vecchia e lussuosa dimora di famiglia tutto è immobile, come i ritratti alle pareti, e ossessivamente ripetitivo: le sorelle lì recluse, per scelta o codardia, le visite del Dottor Frege, imbroglione medico di famiglia, che immaginiamo grasso e laido, Dene vestita tutti i giorni nello stesso modo, la tovaglia e la geometrica disposizione di bicchieri e posate, e altre vuote manie e impegni. Attorno al vecchio e imponente tavolo di Casa Worringer (il padre), il giorno del ritorno di Ludwig, tutto si scatena: i desideri repressi delle due sorelle che esplodono in un’attrazione morbosa per il fratello, un calderone di conflitti e tentativi di confronti, lapsus, gaffes e rimozioni che improvvisamente si ricordano. Nel momento della convivialità, nello spazio che è il simbolo del radunarsi della famiglia – proprio come avviene anche nella realtà – follia e rancori prendono il sopravvento e il gioco al massacro si compie, la celebrazione dello sfacelo di una famiglia, avviene proprio lì, nella sala da pranzo della grande casa dell’industriale Worringer, tra servizi di porcellana che si ereditano da generazioni, carne riscaldata, tovaglie di pizzo ricamate, orridi ritratti di antenati alle pareti e krafen alla crema. I tre fratelli danno inizio ad uno svelamento di verità drammatico e grottesco, e senza soluzione.
La drammaturgia di Thomas Bernhard dipana una tragicommedia ricca, suggestiva e infinita di sottotesti, colma di molteplici risonanze per chi lo recita, per chi ne fa la regia, per chi lo ascolta, induttiva e aperta nel lasciar scegliere quando e come soffermarsi sul lato tragico, tragicomico, surreale, grottesco, disperato …
“Quanto abbiamo sofferto sotto questi orribili quadri” […] “parentela uguale morte” […] “i krafen caldi che la sorella ha preparato e che noi mangeremo tutti perché noi andiamo matti – vero? – per i krafen che la sorella ha preparato”. Le vincolanti dinamiche familiari, il distruttivo peso di questa eredità sia materiale che simbolica, lo schiacciante vincolo della tradizione familiare è il nodo tematico attorno al quale tutto si muove, anche i rancori e le frustrazioni di Ritter, Dene e Voss. Ma i sottotesti allargano il pensiero e la visione. C’è il rapporto amore-odio di Bernhard con l’Austria. Thomas Bernhard è stato spesso criticato nel suo paese e additato come Nestbeschmutzer il cui significato nel senso dispregiativo è letteralmente “sporca nido”, per la sua visione critica dell’Austria. C’è la riflessione sul “delitto” di essere gettati nel mondo: in una famiglia, in una tradizione, in un’epoca, in un paese. C’è la rielaborazione del radicamento alle origini; ci sono riferimenti precisi alla figura di Wittgenstein (l’opera tra l’altro è dedicata a lui e allo Zio Paul) in un gioco di riconoscimenti e contrapposizione fra trasgressione e tradizione, ribellione e rassegnazione; vi sono riflessioni sull’arte, sulla sua capacità di rappresentare la realtà, sui giovani artisti. C’è l’analisi di una classe sociale, chiusa e innamorata di sé stessa, che può essere estesa anche oltre l’Austria ed echeggiare persino nei nostri giorni, nel nostro tempo attuale. Società il cui figlio, l’unico che ha il coraggio di dire come veramente stanno le cose, la verità, viene additato come matto. Figlio folle e al tempo stesso oggetto di desiderio. C’è l’osservazione, senza morale e drammatica, di una classe sociale che non si accoppia se non con sé stessa, che non lascia molte speranze al resto dell’umanità se non l’auto estinzione.
I parallelismi con la nostra società italiana, per chi scrive, con la nostra borghesia, la nostra casta, le nostre caste, sono molteplici ed evidenti. Consonanze con la nostra società che non sembra mai essere veramente uscita dalla signoria e dal feudalesimo, e, infatti, vi sta inesorabilmente ritornando. Ed è forse (personale supposizione di chi scrive) anche questo uno dei motivi, così attuali, così contemporanei che ha attratto un uomo di teatro attento osservatore e testimone dei tempi come Renato Sarti. La cui regia, così come la perfezione tecnica, interpretativa, espressiva dei tre interpreti (Carlo Rossi, Valerio Bongiorno, Piero Lenardon), è impeccabile. La regia di Renato Sarti restituisce, soprattutto e in modo continuo, il senso e la percezione di un’immagine alterata, di rapporti, di equilibri alterati, senza via d’uscita. E il fatto che c’è qualcosa che ci riguarda. Sì, proprio a noi, oggi. Qualcosa che riguarda la nostra vita e la nostra sensibilità.
Ritter, Dene, Voss è in scena al Teatro della Cooperativa fino al 3 marzo 2013
Federicapaola Capecchi
Link di approfondimento su Thomas Bernhard http://www.thomasbernhard.org/
“Certo, sono considerato un cosiddetto scrittore serio e la fama si sta diffondendo (…) In fondo non è per niente una bella fama. Mi mette assolutamente a disagio.”
Thomas Bernhard
Il testo è del 1984 e il titolo risulta dal nome di Ilse Ritter, Kirsten Dene e Gert Voss: attori della compagnia di Claus Peymann per cui Thomas Bernhard scrisse diversi testi. Nel 1986, al Festival di Salisburgo, furono i primi a interpretarlo, in un allestimento memorabile.
dal 12 febbraio al 3 marzo 2013 – PRIMA NAZIONALE
coproduzione Teatro della Cooperativa – Teatro degli Incamminati
con il sostegno di Regione Lombardia – Progetto NEXT 2012
RITTER, DENE, VOSS
di Thomas Bernhard
traduzione Eugenio Bernardi
regia Renato Sarti
con Carlo Rossi, Valerio Bongiorno, Piero Lenardon
scene e costumi Carlo Sala
consulenza drammaturgica Walter Fontanot
foto Emiliano Boga
Info e prenotazioni: 02 64749997
e-mail: mailto:info@teatrodellacooperativa.it
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