Un’esperienza teatrale sicuramente forte. Grazie al CRT, La Madre, spettacolo di cui molto si è parlato la scorsa stagione, sarà a Milano per 6 giorni, da stasera, venerdì 24 a mercoledì 29 febbraio 2012. Mimmo Borrelli, autore del testo e regista dello spettacolo, è ritenuto drammaturgo tra i più dotati e visionari dell’attuale scena italiana, artefice di un idioma arcaico intensamente evocativo, capace (con i testi e l’uso particolare del dialetto) di una forza espressiva che al momento non ha uguali nel teatro italiano. Il suo dialetto flegreo, di cui spesso recupera la cantilena dei marrani, è impenetrabile, ma investe fisicamente lo spettatore con immediatezza.
Una potente Milvia Marigliano, interprete de La Madre, restituisce una Medea contemporanea collocata in un antro/utero materno, e in cui saranno ammessi, per piccoli gruppi, anche gli spettatori. “Una cava – spiega Borrelli – un incavo che trasuda e inghiotte i personaggi in una melmosa fanghiglia amniotica fatta di escrescenze, di vegetazione marcia, di letame ammuffito, di un’umanità in decomposizione, messa a fermentare come su di una parete di mosto deforme. Lì è sprofondata la famiglia: nella deformazione astratta di una vagina esposta ad asciugarsi, dalle nefandezze dell’umidiccia memoria che torna e viene sepolta nel sottosuolo del ricordo amaro che infetta in ogni dove, come l’immondizia sepolta nelle campagne inquinate della zona flegrea. Il palco, dunque, si fa luogo della memoria s-confinata, dove si risvegliano i fantasmi, dove attori sacerdoti sono prigionieri, interpreti di anime in pena, vittime di un passato i cui conti non tornano mai, ma che inesorabilmente ritorna.”
Renato Palazzi: “La Madre è almeno in parte costruito sui rapporti tra la figura paterna, i traffici della malavita organizzata e la cupa sorte dei figli, sempre vittime predestinate: si tratta infatti di una riscrittura della Medea in cui Giasone – che qui si chiama Francesco detto Sandokan, Santokanne – importa rifiuti tossici impestando il terreno di sostanze cancerogene. Mentre però di solito si usano i temi della cronaca per attualizzare gli antichi miti, Borrelli fa il contrario, usa il mito per prendere le distanze dall’attualità, per affrontarla da una prospettiva più alta e assoluta. […] in uno spettacolo dove ogni sentimento pare tradursi in sostanze fisiologiche, lo sperma, le mestruazioni, il liquido amniotico continuamente evocati dalla protagonista, un’aspra, ardente, tormentata Milvia Marigliano”
SEGUE COMUNICATO STAMPA
Mimmo Borrelli, pluripremiato autore di ‘Nzularchia’ e ‘A sciaveca’ (Premio Riccione, Premio Tondelli, Premio Eti, Premio Gassman)– già prodotti dallo Stabile di Napoli – è questa volta anche regista di una sua opera: una Medea contemporanea ambientata in un antro/utero materno all’interno del quale si dipana un racconto mitico e rituale dalle tinte forti ed emozionanti.
LA TRAMA
La storia è quella di tale Maria Sibilla Ascione: ignara e innocente bambina, nel nome già destinata ad una condizione di metà Vergine innocente, metà Maga, strega furente; poiché segnata nelle mani, dove in particolare nel palmo di quella sinistra, la mano del cuore, le linee di forza della vita, della morte e della prosperità, si uniscono a formare una M. Tale segno la legittima (secondo le credenze pagano-contadine) ad avere un rapporto taumaturgico spirituale con i morti e dunque praticare riti di guarigione da malocchio, fatture ecc…Costei è figlia di un noto camorrista del casertano, le cui origini materne (i nonni contadini e fattucchiari, maghi) la riportano a Cuma, nei pressi di Torregaveta: lì dove secondo la leggenda e le testimonianze di Virgilio, risiedeva la dimora della famosa veggente Sibilla. Il padre dunque è un noto proprietario terriero dedito alla coltivazione, nei suoi appezzamenti infinitamente disseminati tra Mondragone, Villaricca, Villaliterno, Casal di Principe, del cosiddetto oro rosso (pomodori), senza disdegnare però (siamo nei primi anni Settanta) di tanto in tanto il ben più redditizio smaltimento clandestino dei rifiuti tossici provenienti dalle industrie del nord, in cave abusive ricavate da alcune delle sue stesse tenute. Tale traffico illecito comincia difatti a fruttargli un’immane giro di danaro, ed acquisire un immenso potere tra tutti gli affiliati.
La bambina viene segnata dalle barbarie maschili fin dall’età di sette anni, quando il padre stesso per ignoranza e vuoi anche ingenuità, nella corsa patriarcale all’accaparramento sempre più spasmodico e frenetico di ricchezza, potere, e voglia di proliferare maggiormente anche col raccolto, inizia “pompare” i propri succitati ortaggi (dal rosso e nefasto colore, pigmento foriero di sventure, poiché della stessa parvenza del sangue), in tal caso con degli estrogeni formidabili che ne accelerano la crescita in pochi giorni. Costui però, ignaro però degli effetti collaterali che questi possono avere su di una creatura di pochi anni e nel pieno dello sviluppo: ne fa mangiare tanti alla piccola Maria Sibilla, in miriadi di salse. In tal modo la poverina ne acquisisce rapidamente le stesse sintomatiche accelerazioni della crescita, che le determinano un afflusso di mestruo precoce. Innocenza segnata nella vendetta, vendetta segnata dal sangue, tra pareti esterne delle cave oscure dell’utero femminile, fin dall’infanzia.
La nostra bambina cresce diventando una bellissima, intelligente, arguta adolescente, affascinata dal luccichio impolverato della curiosità libresca. Avviandosi agli studi di medicina, e alla pratica del canto lirico al conservatorio, insomma, si rifugia in una vita inebriata dagli studi, per dimenticare l’inaccettabile: essere figlia di un despota dedito alla distruzione ed allo sfruttamento dei suoi sudditi, devoti picciotti, delle sue terre e della povera gente, ovvero i suoi figli che ne subiscono le angherie, più spicciole, ma anche quelle future dovendo vivere in una terra infeconda macerata da scorie, portatrici insane di tumori, cancrene, avvelenamenti di ogni sorta. La famiglia, la stirpe sprofonda sempre più lentamente nella discarica di un genocidio inconsapevole.
Ma è a questo punto che arriva l’Anticristo, il Giasone risorto dai libri di scuola, tale Francesco Schiavone detto Sandokanne: intraprendente bulletto di periferia determinato e disposto a tutto, per favorire la sua ascesa al potere, tra le fila delle cosche camorristiche. Di costui Maria si innamora perdutamente e per lui compie ogni misfatto.
La poverina per lui dunque distrugge se stessa e la sua famiglia uccidendo il fratello e facendo morire di crepacuore e collera il padre, fugge via e si nasconde straniera ed esule a Cuma: la terra dei suoi nonni dove però vi ritorna esule, scacciata e perseguitata da tutti. Qui nella sua latitante clausura rimane incinta. Nove mesi di vomitevoli strazi mentre Sandokanne come un gallo sull’immonda “compostata” aia del tradimento, intrattiene fughe amorose con diverse donne del paese, senza curarsi della poverina che come un utero deposito della sua prole di futuri delinquenti, commercianti di eco-balle, si ritrova nel “medeo” e forse anche amletico dubbio di uccidere quei figli che sono anche e soprattutto suoi, poiché è lei a portarli in grembo. Anche se un grembo insozzato da un seme che non riconosce più come magico, amoroso e fertilizzante divino, ma come veleno letale da sputar via dalle grandi e piccole labbra stesse della propria vagina, ustionata e scottata da un amore mal corrisposto, come un bolo catarroso di muco verdastro.
“Non hai saputo far la madre questa brutta crescita è figlia del tuo malriuscito modo di esser prima donna poi mamma.” Nonostante queste parole terribili del marito in momenti di euforata ubriachezza, Maria si fa di nuovo abbindolare, da false promesse e porta avanti la gravidanza.
Le conseguenze sono gravissime.
Nonostante anche i tentativi di aborto, mediante espedienti sia magici che medici, pensati, mai messi e fino in fondo sommessi in atto, alla fine partorisce due gemelli.
A questo punto però, la poverina con i due neonati al seno, scoprendo che le promesse del marito sono ricadute nel vano di nuove bugie e marachelle fedifraghe, riconsidera il suoi intenti abortivi non messi in atto e maledice Dio e la sua fede riposta in lui, per non averla spinta a tale scellerato intento, che di nuovo ricomincia a trapassargli pensieri e onirici ossessi. La madre assassina sopita e aggressiva, la parte maschile sempre segregata ed erroneamente riposta nel subconscio del femminile dalla fede, che vede nella donna: viene fuori. Viene fuori il mostro … colui che è segnato da Dio e di cui bisogna sempre avere paura. Maria in un momento di follia … attribuendo all’invidia ed alla fascinazione maligna e non alla cattiva denutrizione, la colpa di un latitante turgore dei seni, dunque di una mancanza del latte materno in periodo di allattamento: decide e comincia ad allattare o meglio avvinazzare periodicamente, ritualmente come in una messa pagana i figli neonati di parto gemellare per l’appunto con del vino. Ignara o forse anche conscia degli effetti disastrosi che l’alcoolico nettare dall’uva pigiato provoca poi in seguito ai nascituri, in un caldo ed afoso pomeriggio estivo prende una bottiglia ed attua il suo piano, determinando nei pargoli un degradamento di sindrome feto-alcolica che comporta: la testa deforme il labbro leporino, gli occhi storti, un ritardo cognitivo e seri problemi mentali gravi. Riducendoli in due mostri completamente scemi e distruggendo così definitivamente la stirpe di Sandokanne-Giasone pur senza ammazzarli.
I figli ora rantolanti e dementi sono grandi e Maria, rintanata e segregata, carcerata, incatenata, esiliata dal resto del modo si interroga. Si interroga ora che Santokanne ha deciso di sposare la Creusa-Teresa di turno. Avrebbe dovuto ammazzarli fin dall’inizio i suoi figli. Ma non resta che ricordare anni e anni dopo barbona, ormai sola ubriaca e demente la propria storia e rivivere le ultime ore di quei giorni e dello sterminio della sua famiglia. La messa in suffragio che desta i morti dalle bare al cimitero, tombe sulle quali pisciano e si aggirano gatti. Alla ricerca di questi gatti vi è Maria Sibilla Ascione una matta barbona, che intona il suo racconto-rosario richiamando a se i referenti dannati del suo passato terribile con una scatola di croccantini: in preghiera, in ginocchio, procede estatica come se entrasse in chiesa per un voto.
Mimmo Borrelli attore, poeta, cantante, drammaturgo napoletano. Da giovanissimo inizia a lavorare con Franco Branciaroli, Antonio Ferrante, Marzio Honorato, Davide Iodice, Claudio Longhi, Nello Mascia, Franco Però, Mario Santella, Patrizio Trampetti e con il Teatro Stabile di Torino. Attualmente, collabora in maniera attiva con il Teatro Mercadante Stabile di Napoli, nonché con la sua compagnia “Marina Commedia Società Teatrale” di cui ne è presidente e socio fondatore.
Tra i premi ricevuti: Premio Riccione Teatro per la drammaturgia con ’Nzularchìa (2005), Premio Tondelli per la drammaturgia con ’A Sciaveca (2007). Premio Vittorio Gassman come “Miglior giovane talento italiano” per ’Nzularchìa (2008) – Premio Eti-Olimpici del Teatro per ’Nzularchìa, come “Miglior spettacolo d’innovazione” (2008). Premio Nike (Teatro il Primo) come “Miglior autore” per il testo ’A Sciaveca (2009) – Premio Girula come miglior drammaturgia per lo spettacolo ’A Sciaveca (2009).
LA MADRE – Produzione CRT Centro di Ricerca per il Teatro e Teatro Stabile di Napoli, in collaborazione con Marina Commedia Società Teatrale
testo e regia di Mimmo Borrelli
con Milvia Marigliano, Mimmo Borrelli, Serena Brindisi, Agostino Chiummariello, Gennaro Di Colandrea, Geremia Longobardo
scene Luigi Ferrigno
costumi Enzo Pirozzi
luci Cesare Accetta
musiche Placido Frisone
adattamento delle musiche alla scena Antonio Della Ragione
assistente alla regia Michele Schiano di Cola
assistente alle scene Armando Alovisi
Teatro dell’Arte viale Alemagna 6
orari
da martedì a giovedì ore 21.00 – venerdì ore 21,30 – sabato ore 19,30 – domenica ore 16
doppia replica
sabato 25 febbraio ore 18.00 e ore 21.00
domenica 26 febbraio ore 16.00 e ore 19.00
Prevendita e prenotazioni telefoniche 02 89011644
biglietteria@teatrocrt.it
www.teatrocrt.it
Ufficio Stampa – Cristina Pileggi
ufficiostampa@teatrocrt.it
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